Ecco la nuova puntata de " Alla ricerca del talento perduto" , la nostra rubrica quindicinale curata da Alessia Signorelli.  Oggi l' attenzione della nostra Alessia si è focalizzata sui baby talent.
In questi giorni, sempre per il discorso della volta precedente (e cioè il fatto che, solitamente, quello che ci terrorizza esercita su di noi un’attrazione fatale, perché si tratta di un perturbante che in sé include non solo la paura, ma anche un certo tipo di piacere. Su, dite tutti “Grazie signor Freud!”, da bravi), mi capita, durante uno zapping nevrotico, di soffermarmi a guardare, oltre i vari daytime, afternoontime, afterhourtime dell’ormai immancabile X-Factor, anche quei programmi dedicati ai piccoli cantori, quei pupi più laccati degli stessi ospiti e presentatori, che danno sfoggio di capacità canore anche piuttosto impressionanti.
Ora, facciamo il solito passo indietro (molto vintage, molto nostalgia, così chic!) e torniamo agli anni in cui, un programma come lo Zecchino d’Oro era, pur nella sua melmosa mielosità di dentini mancanti e tagli di capelli “a cazzaruola”, un qualcosa che anche io arrivo a definire “carino”, un modo, per i bambini, di cantare, di “divertirsi”, in un certo senso. Insomma, era un programmino familiare, senza pretese, innocuo, innocente come i piccoli partecipanti.
Adesso no. Da qualche anno a questa parte, anche i pupi sono stati fagocitati dalla (il)logica del talent show – camuffato come e quanto vi pare, ma pur sempre talent-show, con tutto quello che ne consegue (ospitate in TV, il contratto, le lacrime alla dichiarazione del vincitore).
E li vedi, un po’ imbarazzati, un po’ confusi, incuriositi e sicuramente divertiti da questi adulti che fanno loro domande che definire ‘inutili’ non credo renda bene l’idea, che si complimentano per il loro talento. E loro? Loro cantano, chissà quanto consapevoli o inconsapevoli dei vari gradi della posta in gioco (a questo punto mi piacerebbe fare quattro chiacchiere con i genitori). Intendiamoci, non che i più piccoli non abbiano diritto al loro “momento di gloria”, ma, personalmente, trovo il tutto un po’ storto, a voler essere gentili.
Insomma, sì, anche lo Zecchino d’Oro è un contest, ma va detto, ad onor del vero che, a vincere i vari premi, sono sempre stati gli autori delle varie canzoncine e non i piccoli canterini; se permettete, c’è una bella differenza, anzi, mi verrebbe da dire un gustoso abisso con quanto, invece, ci viene propinato al di là e al di qua della linea di confine che divide la Tv pubblica da quella privata.
Non avrei mai voluto dirlo, ma mi sembra che questo nuovo trend abbia un qualcosa di grottesco.
I piccoli partecipanti sono carini e tutto, alcuni sono bravi davvero però, permettetemi una piccola nota di ‘colore’ che riguarda in particolar modo i maschietti che partecipano a questi sottoprodotti del talent-show; biologicamente esiste una cosa che si chiama “cambiamento di voce” e che avviene con l’insorgere della pubertà. Non credo che debba stare qui a spiegare che succede, ma i più avranno avuto il pensiero che, cambiando la voce, non è detto che l’intonazione resti sempre e comunque o che si sviluppi una voce ragguardevole. Altrimenti, la pratica della castrazione tanto in voga nei secoli scorsi (il cui apice si ebbe nel XVIII secolo) non avrebbe avuto tanto senso (al di là del fatto che alle donne era proibito calcare il palcoscenico). C’è chi, oggettivamente, ha fortuna ed è in grado di continuare a cantare anche a maturazione avvenuta, ma molti altri non hanno ce l’hanno, questa fortuna.
Tutto ciò per dire che bisogna andarci piano.
Ecco, ho scritto qualcosa di altamente reazionario. Un po’ retrogrado. Un po’ off. Forse dovrei mettermi a sferruzzare, sorseggiando the e lamentandomi dei giovani d’oggi.
O forse dovrei parlare di Nevruz. Ma forse sarebbe davvero troppo.
Alessia Signorelli |