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Andrea Papetti - L’inverno a settembre

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Eccomi di nuovo qui con voi, per quella che è la mia ultima recensione: da oggi questa sezione sarà curata da un altro valido membro della nostra redazione, che di certo non vi farà rimpiangere le mie pubblicazioni. Anche perché il mio non è un addio, ma un arrivederci ad un’altra sezione di Fattorie Musicali, ovvero le nostre care internetview. Quindi giovani artisti, fatevi sotto! L’indirizzo lo sapete, ma ve lo voglio ricordare: fattoriemusicali@live.it, che è anche un contatto chat per quel noto programma di messaggistica che voi tutti conoscete ;)

Detto questo, non mi dilungo oltre in fuorvianti – ma a mio avviso necessarie – digressioni, e vengo all’artista di oggi, ed alla recensione del suo album.



Oggi parliamo di Andrea Papetti, classe 1978. Musicista quanto basta, poeta per la restante parte: da questa sua passione (coltivata sin da giovane), riconosciuta a livello nazionale, al mondo della musica, il passo è stato breve e fruttuoso. Anche qui i riconoscimenti non hanno tardato ad arrivare. Passo dopo passo, da una manifestazione alla successiva, Andrea Papetti accresce la sua fama e la sua cerchia di amici, soprattutto grazie alla canzone scritta per Peppino Impastato, L’uomo della verità, così apprezzata dai compagni di Peppino e Giovanni Impastato, che per due anni di fila è stato invitato a suonare a Cinisi, in occasione della manifestazione annuale. E l’impegno sociale è una componente base delle sue canzoni e di quest’album. In quest’album figura anche Inferno Baghdad, in memoria del giornalista freelance Enzo Baldoni, rapito ed ucciso nell’agosto di 7 anni fa in Iraq. Il brano è molto toccante ed intenso, ed è preceduto dal suo testamento informatico, quello che aveva redatto in una mailing list. Attraverso la voce di Piergiorgio Cinì, Papetti ci offre i pensieri di un giornalista e di un uomo sui generis. Su tutte, voglio riportarvi una delle frasi che preferisco: Non mi dispiacerebbe se nascessero nuovi amori. Una sveltina su un soppalco defilato non la considererei un’offesa alla morte, bensì un’offerta alla vita. Oltre al lato sociale, questo album presenta un lato più personale ed intimo. Degna di nota è senz’altro Parigi, cosa avevi per la testa? che, tra il suono di una chitarra e di un mandolino, una fisarmonica ed una voce sommessa - a metà tra il canto ed il parlato - ci narra di una storia che finisce, con una dolcezza inverosimile, tra Parigi ed Ancona. Il legame con la sua terra, le Marche, si fa ancora più vivo ne Al molo, che parla della sua San Benedetto del Tronto, raffigurata attraverso un suo luogo, il molo appunto, che diventa quasi un luogo della mente, un porto sicuro per quanti abbisognano di pace e ristoro.

Così lontano, così vicino è il singolo promozionale scelto: si racconta la storia di Pablo Neruda e della dittatura in Cile per mano di Gabriel Gonzales Videla con un arrangiamento che, nonostante il testo profondo ed impegnato, appare molto orecchiabile.

Voglio chiudere questa recensione con il pezzo che ho più apprezzato di questo album, Vanilla sky. Un brano evocativo, intenso e mistico; suoni e colori che richiamano una realtà quasi apocalittica, una corsa infinita alla ricerca di qualcosa, o qualcuno. Un viaggio circolare, che termina come comincia, quasi a voler indicare che, dopotutto, alla fine ci si ritrova sempre al punto di partenza, ma con qualcosa in più nelle tasche, una nuova consapevolezza:

E’ un cielo che annega

in cattedrali di fuoco

non conosco la finzione

ma in fondo è un bel gioco

(…)

E’ un cielo che annega

in cattedrali di fuoco

ora conosco la finzione

ed è proprio uno strano gioco

La track-list



1.Hotel

2.Il testamento di Enzo

3.Inferno Baghdad (a Enzo Baldoni)

4.Parigi, cosa avevi per la testa?

5.Così lontano, così vicino

6.L’inverno a settembre

7.Vanilla sky

8.Al molo

9.L’uomo della verità

10.  Ninna nanna

11.  Il cielo di Beslan

12.  Banneri (con Pippo Pollina)



Giuseppe Puppo

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